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Il segreto agrodolce delle Teche(techetè)

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francoeciccioNon credo di violare un segreto pontificio raccontando che, il 15 giugno scorso, ho ricevuto un'e-mail dal capostruttura di Raiuno Michele Bovi introdotta da un titolo anomalo:

«Con fierezza», c'era scritto nello spazio in cui il dirigente avrebbe dovuto chiarire che genere di argomento stava per affrontare.

Un'espressione che al momento mi è suonata impegnativa, e forse pure eccessiva. Tantopiù che la materia che Bovi lanciava con tanta «fierezza», era l'invito alla presentazione di un programma chiamato "Techetechetè" -attualmente in onda alle 20.30 sulla prima rete pubblica-, nel quale ancora una volta si sarebbe pescato a piene mani negli archivi di viale Mazzini.

Dunque, a dirla tutta, non coglievo fino in fondo l'entusiasmo per un qualcosa che altri avevano pensato e prodotto in vetero stagioni, e ora veniva più modestamente riscaldato.

Tutti pensieri -va però aggiunto- che s'incrociavano in parallelo con la stima cementificata nei confronti di Michele Bovi, il quale tra le sue doti migliori ha quella di inseguire i sogni che lo agitavano da ragazzo, rientrando così in quella categoria berselliana degli adulti che non perdono troppo tempo a beatificare se stessi.

Dunque, mi sono con fiducia piazzato davanti al novello "Techetechetè" -scioglilingua generato da Pasquale Panella-, e ho constatato al volo quanto quanto misere fossero le mie perplessità iniziali, cancellate non tanto dalla riproposizione di materiale d'epoca, quanto dall'elaborazione di una memoria storica che partendo dal mezzo televisivo ha inondato ogni interstizio della nostra storia.

L'altra sera, per dire, la puntata era dedicata a tre protagonisti dello spettacolo nostrano che corrispondevano ai nomi di Franco & Ciccio, Milly Carlucci e i Rokes: ovvero -per i diversamente vecchi- quel brit group capellone sbarcato negli Sessanta sotto la guida di Shel Shapiro.

Il rischio del combinato disposto, è evidente, era quello di confezionare una macedonia di spezzoni e momenti suggestivi che inducesse il pubblico a esclamare: «Ohhhh, quant'erano belli e felici quegli anni, e quante risate e divertimento ci garantivano...».

Invece no, si è risolta diversamente la questione.

Grazie alla solidità del programma -che anche aldilà delle sue intenzioni non esalta affatto gli anni che furono, ma più coscientemente illustra ciò che la tv italiana ha mutuato dal Paese- è emersa oltre ogni dubbio la scala dei valori in gioco:

dove Ciccio & Ingrassia occupavano -senza vergogna, e anzi con consapevolezza spero- lo spazio della comicità ultralight (un esempio su tutti: «Lo sa che ha un problema di cornea?», dice Ingrassia in versione medico a Ciccio paziente. «Mannò, io sono scapolo!»), la giovane Carlucci ballando in costumino fucsia si sforzava già decenni fa di rianimare il varietà in ginocchio, e i Rokes cantavano nel 1966 parole che ancora adesso è emozionante riascoltare:

«Sarà una bella società/fondata sulla libertà/però spiegateci il perché/ se non pensiamo come voi/ci disprezzate, come mai/ma che colpa abbiamo noi?».Rokes-CheColpaAbbiamoNoi

Morale, sembra suggerirci "Techetechetè":

non tutto è valido a prescindere, soltanto perché proviene dal bianco e nero e dall'amore dei nostri ricordi, ma al contrario se rivisto svela con ferocia quale fossero i valori in campo, e quali esiti abbiano avuto nel tempo.

Ragione per cui, al termine di "Techetechetè", noi tutti dovremmo mettere in pratica il consiglio che Tonino Guerra -citato in una clip- rivolge ai suoi interlocutori:

«Cercate di sorridere meno, perché avete tutti troppi denti...».

Può sembrare cinismo, e invece è dolce prudenza.


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